Storia di un fallimento (perchè l’Italia non ha un grande festival)

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    Perché l’Italia non ha un grande festival? Perché non riusciamo ad organizzare un evento all’altezza di quelli che invidiamo ai paesi europei e agli Stati Uniti? Domande simili sono tornate di moda quest’anno perché è saltato l’Heineken Jammin’ Festival e abbiamo assistito al caso eclatante dell’A Perfect Day, annullato dopo che la line up completa era stata annunciata. Ma questo problema in Italia ha radici molto profonde: è un grave fallimento del sistema-paese. Se non abbiamo un festival degno di questo nome le responsabilità sono di tutti. Dei privati, delle istituzioni e del cosiddetto popolo. Il lungo periodo di recessione non aiuta, ma non può essere un alibi: in questo campo faticavamo molto anche quando il paese cresceva.

    I privati. Eventi come Glastonbury e Sziget contano su organizzazioni che lavorano 12 mesi l’anno sulle proprie creature, mentre da noi sono sempre stati i promoter a tentare di mettere in piedi i grossi festival. Un’anomalia che produce effetti negativi: intanto è possibile che una struttura impegnata nella produzione di concerti abbia poche risorse per organizzare raduni lunghi e di una certa dimensione. Poi c’è un conflitto d’interesse: il promoter tende a privilegiare l’artista del suo roaster nella costruzione del cast, anche se la scelta si rivela controproducente per la qualità del cast stesso. Ma soprattutto esiste un problema imprenditoriale: nessuno è riuscito a proporre un prodotto-festival all’altezza del mercato. Per esempio, le location si sono sempre rivelate inadatte e l’offerta di ristorazione non si è mai evoluta: non è più accettabile stare in coda due ore per bere una birra e non poter mangiare altro che un panino freddo con la salsiccia scotta. Dovreste vedere come funzionano questi servizi nei festival europei. Non dimentichiamoci che stiamo parlando di eventi destinati a una fascia di popolazione benestante.

    Le istituzioni. Non è una novità che la classe politica italiana abbia problemi con la gestione del patrimonio e delle iniziative culturali. L’amministrazione pubblica non riesce a prendersi cura di un tesoro dell’umanità come Pompei, figuriamoci se può comprendere l’utilità di un festival musicale per l’economia di un territorio e di una collettività. Per il Sziget si mobilitano gli enti di promozione turistica ungheresi: non è un caso che degli oltre 350mila spettatori, la stragrande maggioranza sia straniera. Budapest spalanca le porte ai turisti e mostra all’Europa il suo profilo migliore. Noi non sappiamo farlo, eppure di turismo dovremmo essere campioni. E non posso fare a meno di chiedermi come si comporterebbe un Comune di fronte alla possibilità di organizzare un grande festival nel proprio territorio, se qualche abitante protestasse perché contrario. A giudicare da quanto avviene a Milano, dove un piccolo comitato di residenti condiziona la programmazione e la qualità (acustica) dei concerti a San Siro, ho come il sospetto di conoscere la risposta. Gli abitanti sono voti.

    Il pubblico. Noi. Noi che viviamo la musica come il calcio, con le tifoserie di artisti e generi che rifiutano tutto quello che è “avversario”. Noi che non abbiamo il minimo interesse per quello che non conosciamo e persino ai concerti dei nostri idoli non degniamo di uno sguardo gli artisti spalla. Noi che diamo la colpa agli organizzatori se il prezzo del biglietto ci pare troppo alto, quando invece dipende quasi sempre dal cachet degli artisti. Noi che se il prezzo è giusto ci lamentiamo del cast (e, appunto, ignoriamo le richieste dei big). Noi che tra un weekend al mare e tre giorni dentro una tenda non abbiamo dubbi. Noi che ai festival italiani non ci andiamo, ma all’estero si perché è più figo. In effetti.

    Ho citato Glastonbury e Sziget perché sono realtà virtuose che propongono modelli opposti. Il primo punta tutto sulla qualità (e la quantità) della proposta musicale, ma state certi che vostro figlio di due anni troverà tutte le strutture necessarie per passare una splendida giornata. E se vi si dovessero rompere le acque mentre ascoltate i Rolling Stones, non c’è problema. Tanto per capirci, in 40 anni di storia, Glasto si è costruito una tale credibilità che i biglietti finiscono 8 mesi prima dell’evento, quando nessun artista è stato annunciato. A Budapest invece hanno puntato sull’esperienza: andare al Sziget significa farsi una settimana di vacanza in un parco a tema (musicale) situato dentro un’isola sul Danubio. Concerti di tutti i generi e le dimensioni, djset, ma anche giostre, meditazione, sport e infinite altre attività. Peace&Love. L’ingresso costa relativamente poco ma la struttura guadagna offrendo tutti i servizi necessari con efficacia. E Budapest gioca di sponda.

    Sia in Inghilterra che in Ungheria, pur in epoche e contesti diversi, hanno pensato a un prodotto (magari aggiustandolo in corsa), l’hanno posizionato presso un pubblico che lo chiedeva e non hanno incontrato resistenze sul territorio. Guadagnano, creano lavoro e fanno divertire un sacco di gente. Così succede negli Stati Uniti per eventi come Coachella e il South By Southwest. Noi, d’estate, dobbiamo accontentarci dei cosiddetti concert series, cioè manifestazioni che offrono più o meno uno show a sera in un determinato periodo e nella stessa location. Va bene, perché comunque ci portano grandi nomi, soprattutto internazionali. Accontentiamoci, ma non nascondiamo la testa sotto la sabbia.

    (Tratto da Onstage Magazine, numero di luglio)

    @DanieleSalomone
     
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    gran bell articolo anche se poteva citare tomorrowland e defqon.....e segnalare che in italia il legend è l'unica realtà esistente...
     
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    credo che l'autore dell'articolo non sappia neanche l'esistenza del legend summer festival, alla fine se uno non ascolta la nostra musica è difficile che conosca i pochi festival che le organizzazioni riescono a tirar su...comunque questo articolo non fa una grinza, siamo sotto 100 scalini a tantissimi paesi del mondo per quanto riguarda i festival musicali
     
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  4. Matte™
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    Colonnello, con tutto il rispetto per lo ShocK che si sta facendo un culo enorme per il legend, ma rispetto ai festival citati, anche il defqon fa ridere... Il problema dell'italia è che nessuno investe, e hanno anche ragione, visto la gente che ci ritroviamo...
     
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  5. Faber®
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    Finalmente un'articolo che dice le cose come stanno! D'accordo su tutto, soprattutto nella parte in cui parla delle istituzioni. Dovremmo capire prima di tutto che il turismo è una risorsa, poi incentivarlo anche a livello musicale (mi riferisco a tutti i generi). Poi c'è anche da sottolineare il fatto che qui in Italia non c'è una cultura musicale su quasi tutti i generi purtroppo...
     
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  6. freqzz
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    in italia investire e party stanno nella stessa frase solo se succede come fuori dal kappa future festival.......nn è una battuta ma è la triste realta
     
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  7. Ja_Qrazy
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    non è questione di investire soldi,
    e che ormai ad ogni genere di musica viene indicato un movimento politico e allora i bacati dicono cazzate del tipo:
    -il festival del 1 maggio (comunisti)
    -chi ascolta hc e hs(fascisti)
    -chi ascolta rock(centri sociali)
    e cosi via!

    dispiace solo che c'è gente che si fa il mazzo x organizzare tutto senza però venire ripagata dal popolo,come una cosa innovativa,anzi qnd dico che vado al estero ad un evento,senza specificare il genere,gente che conosco mi dice:FIGO! WOW! PORCO DIGHEL! e cazzate simili,
    ma appena dico il genere sento dice e figurati si andrà a drogare,fasicsta e cosi via...
    dispiace xk questa è la mentalità di sto paese del cazzo!
     
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  8. TeCHno_vi_87
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    in Italia....verso la metà degli anni '90 qualcosa di festival a livello primordiale c'era .... eccome se c'era.....e garantiva anche un buon giro d'affari....peccato che per colpa di tanti coglioni e soprattutto delle istituzioni (e sappiamo tutti a cosa mi riferisco)....si è pensato bene di archiviare questo mondo
     
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  9. Rosz
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    Quello che dice Ja_Qrazy è stravero! La gente in Italia ha troppi pregiudizi, io stesso ammetto di averli verso persone che ascoltano altri generi. I problemi sono sostanzialmente: la scarsa cultura musicale italiana, SU QUALUNQUE GENERE, le istituzioni che se ne sbattono, e l'investimento dei soldi. E pensare che noi potremmo avere tutto il turismo che vogliamo, l'Italia è un paese che piace, ma di questo passo non cambierà MAI.
     
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    CITAZIONE (Ja_Qrazy @ 23/7/2013, 15:21) 
    non è questione di investire soldi,
    e che ormai ad ogni genere di musica viene indicato un movimento politico e allora i bacati dicono cazzate del tipo:
    -il festival del 1 maggio (comunisti)
    -chi ascolta hc e hs(fascisti)
    -chi ascolta rock(centri sociali)
    e cosi via!

    dispiace solo che c'è gente che si fa il mazzo x organizzare tutto senza però venire ripagata dal popolo,come una cosa innovativa,anzi qnd dico che vado al estero ad un evento,senza specificare il genere,gente che conosco mi dice:FIGO! WOW! PORCO DIGHEL! e cazzate simili,
    ma appena dico il genere sento dice e figurati si andrà a drogare,fasicsta e cosi via...
    dispiace xk questa è la mentalità di sto paese del cazzo!

    quotone!!!
     
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